LA PRIVACY E LA TESSERA ELETTORALE

L'Autorità Garante dà un parere in contrasto con la Costituzione, adagiandosi acriticamente su un'interpretazione alla moda tra i politici spregiudicati.

 

L'Autorità Garante ha emesso a novembre del 1999 un parere sull'introduzione della tessera elettorale che sostituisce, a partire dalle elezioni del 13 maggio, i certificati elettorali che finora venivano consegnati a casa degli elettori volta per volta. Il parere, dopo aver riconosciuto i vantaggi pratici dell'innovazione, avanza critiche assai dure al nuovo strumento, a mio avviso ingiustificate e che si prestano di fatto a confondere ulteriormente l'opinione pubblica sul tema della partecipazione al voto, avallando le teorie sull'astensionismo.

Col recente comunicato di aprile 2001 l'Autorità ribadisce le riserve già espresse, puntualizzando ulteriori motivi di critica. La tesi centrale di questa posizione può essere sintetizzata dal seguente brano, citato letteralmente:

Tuttavia, [l'Autorità] esprime la preoccupazione che il modello ipotizzato di tessera cartacea … possa portare ad una eccessiva conoscibilità di dati sul comportamento elettorale dei cittadini, con un effetto che non sarebbe conforme alla legge sulla privacy e al rispetto di fondamentali diritti costituzionali.

Il concetto fondamentale a supporto della tesi è racchiuso nei seguenti brani del comunicato.

Questo aspetto suscita ampie riserve, soprattutto tenendo conto che alcune consultazioni elettorali, sia generali, sia locali, possono assumere un particolare significato per l’oggetto (si pensi a determinati referendum o votazioni di ballottaggio) o per il contesto in cui cadono (alcune forze politiche possono esprimere specifici orientamenti agli elettori di tipo partecipativo o astensionistico), tanto che il mero dato dell’avvenuta partecipazione alle operazioni di voto può risultare molto indicativo.

L’Autorità ha ricordato, a tale proposito, che il dovere civico dell’elettore connesso all’espressione del voto è accompagnato dalla previsione costituzionale della segretezza del voto, tutela che non può essere ridotta alla sola conoscenza del contenuto della scheda elettorale, ma anche ad alcuni dati che evidenziano il complessivo orientamento dell’elettore.

Questa interpretazione è del tutto arbitraria e incoerente con la Costituzione, che non può essere estrapolata e distorta a piacere. Il voto è un dovere e il suo contenuto è segreto: questo è quanto afferma la Costituzione e null'altro.

Gli atti accessori dell'esercizio del voto non possono essere presi, a mio avviso, come indicazione di orientamento politico: riconoscere al comportamento di chi si astiene pari dignità della scelta espressa nell'urna non ha alcun fondamento e costituisce un avallo all'uso strumentale e distorto che politici spregiudicati fanno del più alto strumento democratico a disposizione dei cittadini. E se la mancata partecipazione al voto è un non-valore, allora anche la tutela del non-votante non ha alcuna speciale legittimità.

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Su un piano più generale, non posso fare a meno di sorprendermi - rivelando così la mia profonda sfiducia per l'abnorme espansione del concetto di privacy - di fronte agli sforzi di chi giunge addirittura a prefigurare la protezione del cittadino che adotta un comportamento contrario alla legge, sia esso esplicitamente sanzionato o meno.

Il fatto che non siano state previste "sanzioni" per la mancata espressione del voto, fa ritenere egualmente necessaria una tutela dei comportamenti degli elettori, in modo tale da evitare possibili censure di ordine morale o sociale rispetto alle scelte dei singoli.

Mi chiedo: a cosa serve stabilire delle norme per regolare la convivenza sociale se un cittadino che scelga di infrangerle non può essere oggetto di censure di ordine morale, prima ancora di quelle, eventuali, di ordine amministrativo o penale?